La “scuola dell’obbligo” è stata
istituita, in Italia, dalla Sinistra Storica in seguito all’applicazione della
Legge Coppino nel 1877, subito dopo l’unità d’Italia. Questa norma rendeva
obbligatoria la scolarizzazione del popolo e sanciva appunto il dovere di
assolvere agli obblighi scolastici. La scuola fu resa gratuita e il livello di
analfabetismo iniziò a ridursi o, meglio detto, la conoscenza della nuova
lingua imposta per tutti, l’italiano, aumentò. L’Italia era appena fatta ora
toccava fare gli italiani e la scuola di Stato serviva proprio a tale scopo.
Che ci sia riuscita oppure no
questo è tutto da vedere ma, senza dubbio, è un’istituzione che negli anni si è
sempre caratterizzata più o meno allo stesso modo: cambiano i cicli, si
modificano le materie ma la struttura ottocentesca è assolutamente intatta e,
oserei dire, intangibile. L’insegnate insegna, l’alunno apprende; l’adulto
impartisce informazioni, il fanciullo le fa proprie; il docente pieno di sapere
riempie il discente che è un vaso vuoto; il maestro è in cattedra, in alto, e
l’alunno in fila con gli altri in basso; dall’alto si insegnano i fondamenti
delle discipline e dal basso si deve imparare e poi si viene giudicati; chi sta
in cattedra ha il potere e il fanciullo deve accettare, modestamente, la
valutazione che gli viene data.
Ma qual è il motivo per cui tale
sistema obbligatorio di istruzione dal quale tutti noi siamo passati è rimasto
intatto fino ad oggi? La risposta, a mio modo di vedere, è ben riassunta in una
citazione del filosofo austriaco Ivan Illich secondo cui “la scuola è l'agenzia pubblicitaria che
ti fa credere di avere bisogno della società così com'è”. Tale istituzione,
infatti, non serve che a creare una schiera di soldatini addomesticati e
asserviti al sistema ed è funzionale alla trasmissione dei valori di una
società capitalista divisa in classi.
Impari ad obbedire al padrone [l’insegnante] e a competere
con i tuoi pari [gli altri studenti] per ottenere una posizione migliore [il voto]
all’interno dell’ambiente in cui lavori o il contesto in cui vivi; posizione
che non ha alcun valore reale ma che ti hanno fatto credere essere tutto.
Competizione invece che cooperazione, indottrinamento invece che pensiero
creativo, asservimento invece che collaborazione: tutti ingredienti necessari
per far funzionare bene l’attuale mondo in cui viviamo nel quale ci sembra di
essere illuminati perché abbiamo due lauree ciascuno e, invece, non ci rendiamo
conto che il più delle volte siamo solo schiavi inconsapevoli di servire. La
scuola serve a farci credere, e ci riesce benissimo, che la storia sia già
finita, che l’organizzazione sociale nella quale viviamo è santa e non potrà
mai essere cambiata che quello che c’è è e sarà per sempre immutabile e ci
accompagna ad accettarlo con buona educazione sin da quando ci obbligano a sei
anni a metterci in fila dietro a squallidi banchi grigi.
Ecco perché il pensiero libertario si oppone alla scuola e
alla scolarizzazione obbligatoria di massa. Esso mira a che ogni uomo possa
sviluppare prima di tutto il suo pensiero performativo in grado di criticare
l’esistente e modificarlo, capace di creare il nuovo e rivoluzionare lo status
quo. Uno dei primi a pensarla in questo modo fu Lev Tolstoj il quale sosteneva che”i
metodi educativi castravano l'intelligenza dei bambini anziché stimolarla”
e da questi ideali sono nate numerose esperienze di scuole libertarie tutt’oggi
esistenti con lo scopo dichiarato di voler fare scuola
da sé per sottrarne il monopolio allo Stato.
Lo stesso Ivan Illich fu uno dei più forti sostenitori della descolarizzazione
con l’obiettivo di eliminare il problema dalla sua origine cancellando la
scuola statale dell’obbligo privilegiando un approccio educativo più
individuale (non rivolto ad una moltitudine indifferenziata) e non
professionale.
“L'istruzione andrebbe dunque affidata allo studente e al
genitore o tutore, di modo che venga eliminato conseguentemente l'obbligo di
frequenza e si ritorni ad un insegnamento che miri alla cultura della persona
in modo conviviale, senza
influenze di interessi basati sul mercato, sulla produzione e sul consumo.
Senza l'utilizzo di professionisti, perlopiù disinteressati al risultato
ottenuto dagli studenti, e senza discriminazioni per l'accesso a ogni tipo di
studio. Ottenendo dunque una relazioneconviviale e non economica tra allievo e maestro, relazione che
comunque darebbe vantaggio ad entrambi.” (W)
V.P.
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