domenica 24 marzo 2013

LA CRISI ECONOMICA HA CAMBIATO IL VOLTO DELLA POVERTA’


LA CRISI ECONOMICA HA CAMBIATO IL VOLTO DELLA POVERTA’ 

Nell’area Ocse, a luglio 2011, c’erano ancora 44,5 milioni di senza lavoro, 13,4 milioni in più rispetto al periodo pre-crisi, e il tasso di disoccupazione è rimasto superiore all’8%, e non lontano dal picco dell’8,8% toccato nell’ottobre 2008.
In Italia, il tasso di disoccupazione a ottobre è salito all’8,5%. Lo ha rilevato, ISTAT (l’Istituto di Statistica), aggiungendo che il tasso di disoccupazione giovanile, tra i 15 e i 24 anni, ha raggiunto il 29,2%. Si tratta di un aumento percentuale di quasi 9 punti rispetto all’inizio della crisi. Nel 2007 la disoccupazione giovanile era il 20,3%.
In una ricerca fatta in queste settimane, risulta che, oggi, quattro italiani su dieci (42%) sono molto preoccupati per il loro lavoro,  a giugno la percentuale si fermava al 27%.
Prevale la paura e il pessimismo e i più spaventati sono i giovani.  La stragrande maggioranza degli intervistati (il 96%) non pensa che la crisi stia finendo. Per il 2012, solo un italiano su cinque (il 19%) intravede una ripresa economica, mentre uno su tre vede addirittura rischi di peggioramento. E il 49% degli italiani pensa che la situazione economica del proprio nucleo familiare peggiorerà nel corso del prossimo anno, soprattutto chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o situazioni di cassa integrazione (84%).
D’altronde queste preoccupazioni sono reali, l’ISTAT rileva che in Italia ci sono 2,7 milioni di persone che, pur essendo disponibili a lavorare, non cercano impiego. Un dato “triplo” rispetto a quello medio Ue, che si aggiunge ai 2,1 milioni di disoccupati (coloro che non hanno una occupazione ma la cercano attivamente).
I sottoccupati part time sono pari a 434 mila unità, l’1,7% del totale delle forze di lavoro.

Anche la percentuale dei giovani precari è sempre in costante aumento dall’inizio della crisi: 42,3% nel 2007, 43,3% nel 2008 e 44,4% nel 2009. Il balzo avanti è ancora più rilevante rispetto al dato del 1994, quando la percentuale di under 25 italiani con un impiego temporaneo era del 16,7%.
Oggi il 46,7% delle persone tra i 15 e i 24 anni che lavorano ha un impiego temporaneo.
Il salario medio in Italia nel 2010 è stato di 36.773 dollari, contro una media dell’Unione Europea di 41.100 dollari e dell’Eurozona di 44.904 dollari. Il salario medio italiano è inferiore a quello della Francia (46.365 dollari), della Germania (43.352) e della Gran Bretagna (47.645).
Proprio in questi giorni, l’ISTAT ha reso noto che è cresciuta la forbice tra retribuzioni contrattuali orarie (+ 1,7%) e livello di inflazione (+ 3,4%). Si tratta del divario più alto dal 1997.
Sempre secondo l’ISTAT, nel nostro paese, è calato il potere d’acquisto delle famiglie, la propensione al risparmio è ai minimi degli ultimi undici anni. La crisi ha lasciato il segno, ci sono meno soldi e meno possibilità di consumi: il potere d’acquisto nel secondo trimestre 2011 è sceso dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% su base annua.
Si tratta del dato più basso dal primo trimestre 2000.
Calano anche i consumi delle famiglie. Da un’indagine, emerge che c’è una stabilizzazione del tasso d’inflazione tendenziale sul valore del 3,4% raggiunto in ottobre. Gli aumenti dei prezzi registrati ad ottobre, derivanti anche dagli effetti dell’aumento dell’IVA, hanno determinato una revisione della stima per il 2011 dal 2,7% al 2,8%.
Nel contempo, aumenta il tempo dedicato alla spesa dalla maggioranza degli italiani. Infatti il 61 per cento confronta con più attenzione i prezzi ed è a caccia alle offerte  “3×2”.
Ci sono situazioni di criticità che continuano ad interessare i consumi alimentari, il 16 per cento dichiara di aver ridotto la spesa o rimandato gli acquisti alimentari.
Peggiorano notevolmente gli acquisti per abbigliamento e calzature (per i quali la spesa è stata ridotta del 51 %). I beni tecnologici hanno avuto una diminuzione del 34 %.
In termini congiunturali, il calo più significativo, ha interessato i beni ed i servizi ricreativi (solo le vacanze hanno avuto un meno 50%).
Poi ci sono gli effetti delle tanto acclamate liberalizzazioni: quasi tutti i prezzi e le tariffe sono cresciuti, alla faccia di chi sosteneva che un mercato più concorrenziale avrebbe favorito il consumatore finale. In molti settori si è passati da una situazione di monopolio pubblico a vere e proprie oligarchie controllate dai privati. Il dato più clamoroso è quello delle assicurazioni sui mezzi di trasporto (Rc auto) che dal 1994 ad oggi sono aumentate del +184,1%, contro un incremento dell’inflazione del +43,3% (in pratica le assicurazioni sono cresciute 4,2 volte in più rispetto al costo della vita).
Come se non bastasse, a settembre 2011 si è toccato il picco più alto degli ultimi 20 anni della bolletta energetica: 61,9 miliardi di euro, pari a un’incidenza del 3,91% sul Prodotto Interno Lordo. Ogni famiglia si trova quindi a pagare una bolletta energetica di 2.458 euro all’anno. L’Italia fa registrare aumenti ben superiori a quelli medi degli altri paesi europei.
Infine, per quanto riguarda il 2012, Bankitalia prevede che la pressione fiscale potrebbe attestarsi intorno al 44%, raggiungendo il suo massimo storico.
Secondo il rapporto 2011 dell’associazione di volontariato cattolico Caritas, i cittadini italiani che vivono in povertà sono 8,3 milioni, pari al 13,8% della popolazione.  Nel 2009,  erano 7,8 milioni (pari al 13,1%).
Dal 2005 al 2010, il numero di giovani che si rivolgono alle associazioni di volontariato è aumentato del 59,6%. Il 76,1% di essi, inoltre, non studia e non lavora.
Uno studio presentato lo scorso 17 novembre dice che metà delle famiglie italiane  “non riesce più a far quadrare i conti”.
Il 15% dei nuclei si trova in maggiori difficoltà e ogni mese deve intaccare i propri risparmi per sopravvivere; il 6,1% è costretto a chiedere aiuti e prestiti.
Per il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, “la povertà è arrivata in un soggetto come la famiglia che fino a quattro-cinque anni fa era il presidio della ricchezza nazionale”.
L’associazione “Save the children” afferma che, dal 2008 ad oggi, sono le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della recessione: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con un minore è aumentata dell’1,8%, e tre volte tanto (5,7%) quella di chi ha due o più figli.
Il prezzo più alto della crisi sembrano pagarlo infatti i minori: sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, di questi, uno su cinque (24,4%) è a rischio povertà, il 18,3% vive in povertà , il 18,6% in condizione di deprivazione materiale e il 6,5% (653.000 ragazzi) in condizione di povertà assoluta, privi dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile.

fonte: Valerio M.

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